lunedì 21 settembre 2015

Recensione: Cuore di cane, Michail Bulgakov

Che cosa succederebbe se un medico eugenetico decidesse di impiantare un’ipofisi umana nel cervello di un cane? Secondo Bulgakov il cane si umanizzerebbe sia fisicamente che psicologicamente. E ciò rappresenterebbe di certo un salto enorme per la scienza, ma se l’ipofisi usata per l’esperimento fosse appartenuta a un controrivoluzionario, per lo più dedito all’alcol, la faccenda sfuggirebbe senz'altro di mano e il comportamento del mutante diventerebbe imbarazzante, provocando situazioni imprevedibili e costringendo lo scienziato-padre della creatura a optare per soluzioni drastiche e moralmente discutibili – se già di per sé l’esperimento non avesse turbato il comune senso etico -.

Bulgakov non delude mai. La sua capacità di creare situazioni surreali è inimitabile. Cuore di cane è ambientato negli anni venti, dopo la rivoluzione sovietica e la creazione della NEP (Nuova Politica Economica), e l’autore non perde occasione di fare satira ai nuovi ricchi, che proprio grazie alla rivoluzione hanno scalato i gradini sociali, agli scienziati smaniosi d’innovazioni anche superflue, agli intellettuali e agli idealisti. I personaggi restano impressi nel lettore a prescindere dalla sua conoscenza del periodo storico dileggiato. Per qualche tempo Bulgakov poté vantarsi di essere lo scrittore preferito da Stalin, ciononostante Cuore di cane conobbe la censura e fu pubblicato postumo (nella madrepatria comparve solo nel 1987).

Serena Giattina