venerdì 12 giugno 2015

Letti per tutti: La dattilografa ceca

Sandro Camilleri
LA DATTILOGRAFA CECA
pagine 213, brossura braille
Stordito editore, 2015.


L’ultima fatica di Camilleri (Sandro, che sarebbe un cugino di Andrea, non sappiamo se si conoscono, di certo sappiamo che sono omonimi), cosa dire di un libro che si è appena finito di leggere, dovendo scriverne una recensione frettolosa che non sarà mai quella giusta, perché ci vuole tempo per ponderare maturare riflettere cercare riscontri rimandi citazioni da citare. Per fortuna non è il nostro caso.
Il libro in questione lo abbiamo trovato scritto con un linguaggio diverso dai precedenti, a tratti incomprensibile, parole smozzicate là dove ci aspettiamo virtuosismi, esse al posto delle zeta, bi al posto delle pi. Non siamo riusciti a comprendere il motivo di tanta sciatteria linguistica – eppure siamo esperti dei libri di Camilleri (però Sandro), li abbiamo sempre trovati se non buoni almeno insoliti – ma questa volta l’autore sembra aver dimenticato le più elementari regole della scrittura e della grammatica.
Ci viene in aiuto il titolo, che l’editore Stordito ha applicato sulla copertina con un autoadesivo, dopo aver finito di stampare le diecimila copie, per un errore di comunicazione tra Camilleri (il Sandro autore) e il reparto grafico Stordito. Diecimila copie potrebbero apparire un numero esorbitante - pare ci sia stato un equivoco tra la segreteria dell’editore e lo stampatore - ma ormai il danno è fatto, tra parenti e amici le copie si riusciranno a piazzare, anche gratis se è il caso.
Comunque ritornando al titolo, “La dattilografa ceca” si rivela un errore banale di battitura commesso probabilmente da una dattilografa cieca, la stessa che ha ricopiato il manoscritto di Sandro Camilleri. Il fatto di scegliere come titolo un banale gioco di parole per strappare la risatina al lettore è un elemento di disturbo, a cui si aggiunge il fastidio di districarsi tra i grovigli di parole ammonticchiate ammatassate sui margini del foglio, insomma questo non è per niente un libro rilassante.
Camilleri (sempre Sandro) ci ha abituati a storie legate alla realtà della provincia – non importa quale – omicidi suicidi interrogatori perquisizioni, stavolta abbiamo fatto fatica a seguirlo.
E adesso veniamo all'indagine che l’ispettore Montalcino si trova ad affrontare nel caos di queste duecentotredici pagine.
Siamo su un treno a media velocità, una ragazza in tailleur verde bottiglia si allontana dallo scompartimento per andare alla toilette e non rientra più per tutta la durata del viaggio. I suoi compagni di scompartimento vengono convocati dall’ispettore per essere interrogati sull’accaduto, ma – e qui entra in ballo l’editore Stordito che, per una sua mania di protagonismo, ha fatto apporre in contratto una clausola che lo chiama in ballo sul più bello. Appena uscito l’editore l’interrogatorio riprende da dove era stato sospeso.
A chi giova questo interrogatorio? non certo alla ragazza scomparsa, una dattilografa dell’est, che a quanto pare si trova ancora sul treno, più precisamente nella toilette, in attesa che tutto si concluda e la lascino in pace, libera di andare e venire, di sparire e partire.
I testimoni sono tutti un po’ incazzati, infatti per essere interrogati hanno dovuto intraprendere il viaggio di ritorno subito dopo essere arrivati a destinazione. Uno di loro svela anche di avere notato che la ragazza era ceca, forse da come parlava, forse da come guardava, non era sicuro, dipende dalla “i”, dice.
A questo punto Camilleri (però Sandro) non riesce a trattenersi, si lascia andare a pagine e pagine di descrizioni minuziosissime di dettagli microscopici. Parla di sfumature di colori, di scioglilingua, di forme barocche, fa sfoggio di cose scritte e disegnate, sembra volere infierire sulla povera ragazza e darsi importanza perché lui è italiano e ci vede benissimo, una roba imbarazzante.
L'unica via per uscirne sarebbe un intervento dell’editore Stordito (Pietro Stordito, erede di una famiglia di stampatori, appassionato di cioccolato fondente al novanta per cento di cacao, stimato collezionista di palline di cera della provoletta), proprio lui che spesso con le sue trovate spiazzanti dettate dal genio inconsapevole e dall’inesperienza ha risolto situazioni ingarbugliate, offrendo a Camilleri (sempre Sandro) la possibilità di concludere il libro e risolvere il caso. Montalcino il più delle volte ne fa le spese ed è sul chivalà anche solo quando sente bussare alla porta.
Fino alla penultima pagina della ragazza non c’è alcuna traccia, voltiamo pagina e la nostra ansia si trasforma in scompiglio. L’ultima pagina è bianca.
Camilleri (è ancora Sandro) continua a stupirci, da buon scrittore di gialli sa che rivelare il finale della storia significherebbe rovinare tutto, quindi per una volta si mostra reticente, rifiutandosi di giungere alla parola fine.
Noi lo aspettiamo sconcertati e curiosi con la sua prossima fatica.

Raimondo Quagliana per AAS Magazine