venerdì 10 aprile 2015

Il vangelo secondo Gesù Cristo (e Saramago)

“Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto”

Il 1991 vede l’uscita di questo romanzo. Ed è subito polemica, si grida alla blasfemia di Saramago. Quella dello scrittore portoghese è una scelta delicata: scrivere un romanzo che ha per protagonista il figlio del Dio cattolico da un punto di vista tutto umano e usando come fonti non solo i vangeli canonici, ma anche quelli apocrifi, non poteva che far piovere condanne da ogni dove. Ma andiamo per gradi. Il libro narra le vicende arcinote della vita di Cristo, ma non credo che l’argomento centrale sia quello che si può trovare sfogliando testi storici e saggi in merito. È un romanzo che usa e rimaneggia i personaggi biblici per dire altro.
La storia raccontata comincia prima della nascita del protagonista. Saramago ci fa calare nella Palestina del primo secolo, riesce a portare il lettore in un preciso periodo storico attraverso la descrizione puntuale dei luoghi, con i paesaggi rocciosi o desertici che richiamano all’interiorità dei personaggi; della società, scandita dai rituali religiosi cui sono fortissimamente ancorati gli uomini; del ruolo riservato alle donne, relegate ai margini degli scambi sociali- nelle carovane, il gruppo delle donne cammina più indietro rispetto agli uomini- e privati – ai pasti, la moglie serve il marito e aspetta che lui finisca di mangiare per poi sedersi e cibarsi a sua volta - e temute per la loro presunta familiarità col demonio (anche per costituzione fisiologica, la sessualità femminile è un mistero diabolico). Da subito sembra di stare in mezzo alle pagine del libro e di poter comprendere i meccanismi mentali di un’epoca tanto lontana dalla nostra nel tempo e nella logica. 

Il libro si apre sulla descrizione di un quadro, la crocifissione di Cristo. In poche pagine Saramago dà un assaggio di quello che sarà l’intero romanzo: non è uno storico dell’arte a illustrare le immagini, ma un uomo che vedendo i personaggi li descrive in base a ciò che gli rimandano i suoi occhi oltre alle sue conoscenze religiose – i santi si riconoscono dall’aureola; a cingere la testa di Cristo una corona di spine, “come ce l’hanno, senza saperlo, anche quando non sanguinano all’esterno del corpo, quegli uomini cui non è permesso di essere re di se stessi” -. I dubbi sulla veridicità di quanto sappiamo dai vangeli tradizionali, Saramago lo insinua subito: nel quadro, Maria Maddalena potrebbe essere la donna più scollata oppure quella bionda, visto che all’epoca si credeva che il biondo fosse indice di tentazione; il soldato che offre la mistura di acqua e aceto sarà biblicamente accusato di avere inferto l’ultimo sfregio a Gesù, quando il gesto avrebbe potuto essere pietoso, considerato che la mistura in questione è un ottimo rimedio per l’arsura. Questi sono solo pochi esempi che dovrebbero già indurre anche il lettore più irrigidito nella tradizione cattolica a porsi delle domande.

Per la cultura dell’epoca narrata, non è straordinario che Maria riceva la visita soprannaturale dell’angelo, che si presenta sotto le spoglie di un mendicante a comunicarle la nascita di Gesù. Il motivo per cui la donna ne resta turbata sembra piuttosto il dubbio che l’angelo le insinua per il fatto di avere indovinato il suo stato interessante a discapito di Giuseppe, che in quanto marito avrebbe dovuto capirlo da sé.
Il personaggio di Giuseppe non ha le virtù che gli si attribuiscono biblicamente: qui è un giovane falegname senza grande inclinazione e merito nel suo lavoro, che non gode di grande stima da parte degli altri uomini perché non è dotato nemmeno di acume, ingegno o dialettica. Un uomo qualunque, insomma. La sua paternità sarà maledetta da un incubo ricorrente, dovuto alla strage degli innocenti. Qui la vicenda della “sacra” famiglia s’intreccia con la storia del re Erode, altro personaggio superstizioso che decide le sorti del suo popolo in base a sogni, scaramanzie e rituali. “Le colpe dei padri ricadranno sui figli”ecco perché vedremo, più in là nella storia, l’incubo di Giuseppe tormentare anche Gesù, così come vedremo che a entrambi, forse per lo stesso motivo, Saramago dedica la stessa sorte: morire in croce, il primo per un errore umano, l’altro per un errore divino. Giuseppe aveva cominciato ad avere il suo incubo alla nascita di Gesù, per il senso di colpa di non avere impedito l’uccisione dei bambini di Betlemme, Gesù lo erediterà alla morte del padre.

 Dopo la morte di Giuseppe, un evento straziante per la donna che si ritrova a dover tirare su nove figli da sola e senza altro introito economico che non i pochi proventi dovuti alla cardatura della lana, Maria si vedrà abbandonare anche dal primogenito. Saramago ricontestualizza alcune frasi famose in certi passi biblici in altri periodi: non sulla croce, ma quando scopre la colpa di Giuseppe, Gesù grida al cielo “padre, padre mio, perché mi hai abbandonato?”.
Il sentimento di Gesù verso Maria è di odio e amore. Con i giudizi trancianti e assoluti propri dell’adolescenza, il ragazzino condanna la madre tanto quanto il padre per la morte dei bambini e decide di andarsene di casa e accompagnarsi a Pastore, che è l’angelo che aveva annunciato la sua nascita. Pastore inizia Gesù a una concezione della vita diversa dai dettami e dai dogmi appresi in sinagoga, gli insegna la compassione e gli insinua il germe del dubbio verso il credo in un dio vanaglorioso che Gesù conoscerà quattro anni più tardi. La scelta di sacrificare una pecora a Dio gli costerà l’abbandono del suo primo enigmatico maestro, del quale si ha il dubbio che sia un angelo o un diavolo.
L’immagine che emerge di Cristo, man mano che cresce, è quella di un uomo comune, sottomesso ai dettami religiosi del suo tempo, che un giorno incontra un dio che gli promette il potere e la gloria in cambio della sua vita – quest’ultima è un’imposizione, non c’è nessun arbitrio nell’uomo.
Così, il giovane si ritrova a compiere controvoglia dei miracoli che gli procurano un seguito di accoliti. Conoscerà l’amore con Maria, la reietta di Magdala, la prostituta più anziana di lui nella quale il ragazzo proietta l’amore materno, oltre a quello sensuale. Infine, immerso nelle nebbie del lago – deserto dell’anima di un uomo SOLO – sarà a colloquio con Dio. Gli sarà concessa la conoscenza degli eventi sanguinari che seguiranno alla sua morte, le guerre ideologiche, le persecuzioni e le torture con un elenco lunghissimo di uomini e donne che daranno la vita per appagare la sete di potere di un Dio volubile e cruento. Al dialogo sarà presente Pastore - finalmente si svela la sua identità - colui che, davvero compassionevole nei confronti dell’umanità, avrà l’ardire di tentare Dio per salvare gli uomini. È come se da lì in poi i ruoli di dio e del diavolo si capovolgessero, d’altronde, come aveva detto Pastore a Gesù durante l’apprendistato: “forse dovremmo (…) tagliare un re per vedere se c’è un altro re dentro la pancia, e bada che se incontrassimo il Diavolo e lui ci permettesse di aprirlo, forse avremmo la sorpresa di veder balzare fuori Dio.”


Alla tirata delle somme, si comprende bene che il fulcro del discorso saramaghiano non è eretico né blasfemo. Usare protagonisti biblici è un pretesto per suscitare la riflessione su Che cosa è giusto? Che cosa è sbagliato? Il GREGGE di cui facciamo parte ha capacità di discernimento? Siamo davvero liberi di costruire il nostro destino? Capovolgere quello in cui si crede per fede o per tradizione non può che essere un pungolo a cambiare prospettiva, a imparare a guardare ciò che si considera VERITÀ sotto una luce diversa, aprirsi a comprendere e a conoscere altro che non sia quello che già sappiamo. Le radici culturali ed emotive influenzano e si ripercuotono sul vissuto di ognuno, si può scegliere di tranciarle, ma la cicatrice che resta ce le ricorderà per sempre.

Serena Giattina